Recensione Xplore Roma 2016
Xplore Risposte
da Alessandra-XaNa-Roticiani
Il senso di responsabilità nei confronti della propria vita non consente di perdere occasioni. Il desiderio di diventare giorno dopo giorno una persona migliore permette di scegliere la strada giusta, lasciarsi andare all’istinto, scoprire un’etica dei propri bisogni e sentimenti. Il viaggio alla scoperta di se stessi è quanto di più raro e prezioso esista. Alessandra XaNa Roticiani è partita per questo viaggio, iniziato con l’esperienza dell’Xplore Festival, e oggi è disponibile a condividerne le zone di luce e quelle d’ombra.
L’Xplore è un evento nato dall'idea del coreografo e artista concettuale Felix Ruckert, una giocosa fusione tra arte, pratiche del corpo e sessualità che ha riscosso molto successo, aumentando ad ogni edizione il numero dei partecipanti.
Alessandra, che cosa ha rappresentato l’Xplore per la tua vita?
Un momento di passaggio, un'iniziazione.
Ma anche un grande richiamo verso quello che sarebbe potuto accadere dopo, un momento visionario, ispirato e ricco di stimoli che hanno aperto una porta della quale non pensavo di riuscire mai a trovare la chiave.
Ho partecipato per la prima volta ad Xplore Roma nel 2013, per una serie di fortuite coincidenze. Al tempo vivevo una relazione monogama già da alcuni anni, alla mia richiesta di sperimentare alcune pratiche sessuali non convenzionali (la mia curiosità era rivolta prevalentemente al Bondage) il mio compagno di allora non se la sentì di assecondarmi.
Perché proprio il Bondage...perché vengo da molti anni di Shiatsu e Aikido, perché un certo tipo di bodywork mi ha sempre attirata, perché il senso di costrizione e pressione sul corpo e un certo tipo di dolore hanno sempre esercitato un grande fascino su di me.
Il caso volle però che, nonostante fosse contrario ad intraprendere un esperienza del genere, il mio compagno mi dette comunque il nome di un suo amico di vecchia data, dicendo che aveva scritto un libro sul Bondage e che era molto conosciuto nell'ambiente.
Stava parlando di Davide-Maestro BD-La Greca.
Lo contattai, andai a Roma a casa sua e provai finalmente una sessione di Bondage.
E si, mi piacque davvero molto.
E fu lo stesso Davide, dopo qualche mese, ad invitarmi a quella mia prima edizione di Xplore Roma.
Era l'anno 2013, ci andai da sola ma non mi lasciai del tutto trasportare, mi sentivo più testimone che parte attiva, vuoi perché di solito ho bisogno di tempo per osservare e vagliare quello che mi accade attorno (soprattutto se si tratta di qualcosa di nuovo), vuoi perché comunque facevo i conti con un certo senso di responsabilità verso la relazione che stavo vivendo.
Ma sentivo una forte connessione con quello che stava accadendo, con le tematiche trattate, con le persone incontrate e con i modi di interagire a livello interpersonale durante i tre giorni di festival, durante i workshop, durante il party finale.
Pur essendo un festival dedicato alla sessualità, anche estrema, non c'era morbosità, non c'era nulla di osceno o rivoltante, non c'erano abusi ma un grande senso di ricerca e libertà, molto bodywork ed il focus era incentrato sulla consapevolezza di sé, del proprio corpo nella relazione con gli altri e tanta, tanta voglia di sperimentare.
Dopo quella prima esperienza tornai a casa un po' stordita, ancora stentavo a credere che quel mondo potesse far parte della mia vita, a volte avere davanti a sé tanta libertà che arriva tutta insieme può intimorire e costringere a domandarsi “E ora? Con cosa riempio questa libertà? Cosa me ne faccio?”.
L'anno successivo, il 2014, ha visto Roma orfana del Festival, credo per questioni organizzative.
Nel 2015 ho partecipato di nuovo ad Xplore Roma ma stavolta come insegnante, ho tenuto il mio workshop basato sul massaggio di coppia dal titolo “Weight of Love” (Il Peso dell'Amore).
Il titolo è un gioco di parole realizzato sfruttando l'idea che c'è dietro al principio dello Shiatsu di portare il proprio peso sul corpo dell'altro durante la sessione di massaggio.
Il workshop era pensato per sdrammatizzare l'idea del peso, non fisico ovviamente, che una relazione alla lunga può far sentire sulla coppia.
Stavolta ero parte attiva del Festival, avevo la mia esperienza da portare ai partecipanti ed ero pronta ad assorbire i loro feedback, che puntualmente sono arrivati e che mi hanno mostrato che integrare il mio percorso di vita con la visione sperimentale e di ricerca di una nuova e più profonda dimensione della sessualità era possibile.
E da allora non sono stata più la stessa.
Come è maturata la scelta di trasferirti a Berlino?
Berlino era già comparsa come una possibile destinazione nella mia vita, ma al tempo (all'incirca una quindicina di anni fa) non avevo avuto la possibilità di lasciare quello che stavo vivendo in Italia, forse non ero ancora pronta o forse erano i tempi a non erano ancora maturi per me.
E forse non avrei saputo neanche come sopravvivere a questa scelta, la me di quegli anni era davvero un'altra persona, molto più chiusa, schiva, insicura, con grandi difficoltà comunicative su tutti i fronti, e sebbene avessi sempre viaggiato molto e avessi sempre cercato un'altra realtà diversa da quella nella quale stavo crescendo lo avevo sempre fatto per fuggire da qualcosa, non per raggiungere davvero un'altra dimensione o per evolvermi e ricercare qualcosa di diverso.
Ma questa città, o perlomeno l'idea che avevo di essa, aveva oramai attecchito nella mia mente, seppur in uno degli angoli più remoti, ed è lì che è rimasta per molti anni.
Il caso ha voluto poi che una mia carissima amica decidesse di trasferirsi, qualche anno più tardi, proprio a Berlino, che sposasse un uomo berlinese e che decidesse addirittura di prendere la nazionalità tedesca.
Ma nonostante i suoi innumerevoli inviti per andare a farle visita il momento adatto sembrava non arrivare mai.
Berlino è anche la città dove il Festival Xplore è nato ad opera del coreografo e danzatore Felix Ruckert e dove ogni anno si tiene la sua edizione principale.
E quando al termine della scorsa edizione di Xplore Roma 2015 (quella alla quale ho partecipato con il mio workshop) mi sono sentita chiedere “Ci vediamo allora all'edizione di Berlino?” da più di una persona ho pensato, anche con una certa frustrazione, che la cosa non si potesse mai realizzare.
Niente soldi, niente tempo, una certa ansia nel dover chiedere al mio compagno di assentarmi ancora per un festival a sfondo sessuale senza di lui, per cui ho lasciato correre.
Ma poi mi sono guardata attorno, la vita che stavo vivendo in Italia mi aveva portata ad una forte depressione e demotivazione, venivo da una situazione lavorativa degradante durata anni, stavo vivendo una relazione che seppur con tutto l'amore possibile sembrava non potermi dare quello di cui avevo davvero bisogno e avevo sempre la sensazione di non poter mai avere o raggiungere o addirittura meritare qualcosa che fosse davvero utile per la mia crescita e per la mia realizzazione.
Dopo neanche un mese da quell'edizione del Festival ho incontrato, dopo molti anni, la mia amica che si era trasferita a Berlino in visita ai genitori in Italia, ed ho incominciato ad intravedere una possibilità, le ho chiesto se secondo lei avrei avuto davvero qualche chance nella capitale tedesca e se se la sarebbe sentita di darmi qualche dritta a riguardo.
E così ha incominciato a prendere forma nella mia mente la possibile materializzazione di quella connessione ideal che fino ad allora sembrava così lontana ed improbabile, ho capito che questa poteva essere la volta in cui avrei potuto fare quel passo in più per mettermi ancora in gioco, per seguire una strada della quale avevo comunque poche indicazioni ma che sembrava indirizzarmi dove avrei voluto sempre essere.
Ho lasciato il mio compagno e la casa dove vivevamo assieme nel settembre 2015 e sono partita per visitare per la prima volta Berlino, sono rimasta soltanto un paio di settimane a casa della mia amica, giusto per capire di cosa si trattasse, ma sono bastate a darmi ancora più la sensazione che quella era davvero la mia strada.
Alla fine di Gennaio 2016 avevo un posto riservato in aereo per un viaggio di sola andata con addirittura un bagaglio da stiva (ma giusto perché era inverno ed ho dovuto portare con me i miei giacconi foderati di finta pelliccia).
Come ti ha accolto l’elettiva “capitale” d’Europa?
Non posso rispondere “caldamente” perché in effetti quando sono arrivata c'era la neve e la temperatura media diurna era -10°.
Ma di sicuro sono stata accolta a braccia aperte a casa della mia amica Eleonora, senza di lei tutto questo non sarebbe mai potuto succedere.
Lei ha fatto veramente molto per me, io non conoscendo affatto la lingua mi sarei persa tra la burocrazia e le varie scartoffie iniziali e probabilmente non sarei rimasta per più della durata di una vacanza.
Devo dire che comunque mi sono sentita subito a mio agio, la città è tutt'altro che ostile, il sistema dei trasporti è molto efficiente, quasi tutti parlano inglese e come tutte le grandi città l'offerta di cibo in strada è piuttosto consistente, basta solo abituarsi ai vari tipi di Kebab o Oriental Food.
Si respira anche molta storia per le strade, come se il passato fosse rimasto fortemente e drammaticamente impresso nella struttura portante della città, nella sua ossatura, come se l'ombra di un passato così pesante fosse difficile da dissipare anche se gran parte della città è stata ricostruita, anche se questa ri-costruzione sembra non avere mai fine, in ogni angolo c'è un cantiere edile, una messa in opera, un restauro, una nuova costruzione o la bonifica del terreno (Berlino sorge su una falda acquifera che viene costantemente drenata e fatta passare nei caratteristici tubi rosa e blu che emergono dal terreno e si snodano in varie direzioni, soprattutto in verticale), il che la rende una città in continua evoluzione e movimento.
Per quanto riguarda i contatti col mondo di Xplore li ho riallacciati andando quasi subito dopo il mio arrivo a Schwelle7 per un workshop, Schwelle7 è, anzi era, il luogo fisico dove Felix ha proposto per alcuni anni le attività di ricerca riguardanti i vari crossover tra sessualità e danza, teatro, arte in genere.
Dico “era” perché attualmente, causa la oramai dilagante gentrificazione a Berlino e il conseguente vertiginoso aumento dei costi degli affitti, Schwelle7 da fine Maggio 2016 purtroppo non ha più una sede fisica.
Arrivare a Schwelle7 ha significato per me vedere e toccare con mano quel mondo che avevo sempre immaginato ma che mai si era condensato in un'immagine reale, quel mondo fatto di fantasie che si fanno dense, reali, quel territorio dove le sperimentazioni vanno a braccetto con l'estremo ma anche con il gusto per il bello ed il poetico, e dove il giudizio sugli altri e su sé stessi viene immediatamente e senza sforzo sospeso.
Come ha influito sulla tua crescita lo Schwelle a Berlino?
Approdare alle attività di Schwelle7, seppur nella loro fase finale, ha significato per me aprire una finestra sul mondo delle possibilità che fino ad allora avevo percepito per me come irrealizzabili.
Perché a Schwelle non c'era nessuna distanza tra attività come la danza o il fare musica o praticare Yoga e la libera espressione della propria sessualità, anche sotto forma di attività estreme come il BDMS (acronimo di Bondage-Dominazione/Disciplina-Sadismo/Masochismo) cosa che invece viene spesso percepita come un grande tabù in altre circostanze, come se la sessualità non facesse parte del nostro quotidiano ma fosse qualcosa da relegare in maniera settoriale ad un mondo tutto a parte, staccato e disconnesso dal resto.
Come ha influito sulla mia crescita...credo che abbia influito come poche altre cose nella mia vita, forse perché ha significato l'arrivo di una presa di coscienza sulle possibilità di espressione che giacevano latenti in me, sotterrate e soffocate da anni di frustrazione e rinnegamento della mia identità.
Ho meditato a lungo negli ultimi mesi su questo concetto, come ho già detto prima durante la mia vita ho sempre viaggiato molto anche in maniera disordinata e scapestrata, desiderando altro da quello che la vita mi offriva nelle immediate vicinanze, ma in realtà non stavo cercando nulla, fuggivo invece da qualcosa, ero più impegnata ad affermare “io NON sono questa persona” piuttosto che “io sono questa persona”.
Ho sempre avuto su di me l'ombra delle aspettative degli altri, della mia famiglia in primis che avevano talmente attecchito nel mio modo di crescere e vedere le cose che ad un certo punto non sapevo più chi fossi davvero, se la proiezione della visione (distorta) di qualcun altro o un tentativo riuscito male di sottrarmi a questa visione.
Tutto questo lo vivevo anche sul mio corpo, perché è inevitabile che il nostro mondo interiore si rifletta anche nella nostra parte più densa, più materiale, e ammetto di aver vissuto sulla mia pelle anni piuttosto difficili.
La grande carica e la spinta energica che ho sperimentato durante il cambio di visione che si è innescato una volta entrata in contatto con il mondo di Schwelle7 e Xplore hanno fatto si che molte cose che non erano mai accadute prima d'ora nella mia vita accadessero a ruota già nei primi mesi che ho passato qui a Berlino.
Prima fra tutte ho perso molte delle inibizioni che avevo accumulato negli anni, ho smesso di vergognarmi e di vedermi come qualcosa di mal riuscito, ho cominciato a desiderare attivamente qualcosa, ma anche qualcuno, ho preso l'iniziativa, sono stata più di una volta molto esplicita, ho esaltato la mia femminilità, ho mostrato agli il mio desiderio, ho fatto sesso in più di una occasione davanti a molte altre persone.
Mi sono anche vestita in maniera vistosa ed esagerata, ho dato valore al mio corpo e ai miei sentimenti, ho ballato, cantato, ho urlato di gioia ed ho pianto, mi sono innamorata più e più volte e mi sono guardata molto allo specchio, ho ascoltato musica nuova e provato nuove sensazioni, forti, intense.
Ed in tutto questo mi sono sentita libera di farlo, libera di essere vista mentre lo facevo, desiderosa anzi di essere vista, desiderosa di far sentire la mia voce, di coinvolgere chi mi stava attorno in questa riscoperta di me.
Ammetto però che ad un certo punto però è arrivata anche la sofferenza, improvvisa, brutale, come una doccia gelata soprattutto perché dietro ad un mondo così pieno di “libertà” soprattutto relazionali diventa difficile gestire i sentimenti e le emozioni, visto che i rapporti non sempre si basano sulla coppia tradizionale o sul concetto di fedeltà come rinuncia ad altre relazioni.
In questo mondo i rapporti tendono ad essere più che “elastici”, sei riuscita a trovare una soluzione all’annosa questione: come guarire dalla gelosia?
Assolutamente no. La gelosia non ha soluzione per me, esiste e basta, arriva come un fuoco ardente nello stomaco e alimenta tutta una serie di emozioni ad essa concatenate:
la sensazione di non essere all'altezza, di non essere o significare abbastanza per la persona di cui mi sono innamorata, di non valere quanto l'altra persona “rivale”, la sensazione che la persona che amo preferisca fare altro piuttosto che condividere del tempo prezioso con me e magari spendere quel tempo amando qualcun altro, il timore dell'abbandono, del rifiuto.
Tutte emozioni che sento ribollire nel calderone dei miei sentimenti e che vanno a creare anche una certa dose di rabbia.
Ma il grande passo avanti per me è stato accettare questa gelosia, viverla senza biasimarmi per averla provata, accettare che io possa anche provare dei sentimenti così distruttivi e farne tesoro, fare esperienza di come arrivano, di come mi attraversano, di come mi trasportano verso la ricerca anche dei miei angoli più bui e di cosa posso farne per continuare comunque nella mia ricerca.
In questi mesi ho avuto parecchi amanti, alcuni dei quali con altre relazioni all'attivo, chi sposato, chi convivente, chi libero ma solo per qualche giorno a settimana, chi poliamoroso, chi indeciso, chi depresso...
In tutti loro ho visto una possibilità di imparare qualcosa, di qualcuno mi sono innamorata e di qualcun altro ho apprezzato soltanto la sensazione di potere che mi dava sapere quanto potessi prendere da loro emotivamente e sessualmente parlando.
Perché poi è innegabile che si vada anche affacciando la consapevolezza di esercitare un potere sugli altri, il ché è di per sé inebriante e pericoloso allo stesso tempo.
E forse la paura e il timore della perdita di qualcuno che amo che descrivevo prima può essere legata alla sensazione di attaccamento o al timore di perdere la possibilità di esercitare quel potere, per cui mi domando sempre se quello che provo è davvero amore o si tratta solo di attaccamento, soprattutto alle emozioni che si generano alla presenza dell'altro (o degli altri) nella mia vita.
Ed in tutto questo la gelosia può assumere una connotazione marginale, può anche diventare una delle tante proiezioni che ritengo la mia mente possa fare, perché se è vero che avere le attenzioni di un partner completamente per sé sia appagante è anche vero che ognuno sceglie, consapevolmente o meno, cosa fare della propria vita e come usare le proprie risorse, e con chi.
E se le attenzioni di cui ho bisogno da chi amo non arrivano so che non possono essere elemosinate e che sono io in prima persona a dovermi dare quelle attenzioni, a dover gestire i miei bisogni e desideri che non possono sempre essere legati solo alle aspettative o alle decisioni che chi mi sta accanto prende anche a discapito delle mie richieste.
Ho sperimentato che, dopo notti insonni passate a versare lacrime sul cuscino, dopo giornate interminabili durate le quali non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo del telefono in attesa anche solo di un semplice messaggio, dopo settimane intere di attesa di un po' più d'attenzione posso sempre permettermi di cercare qualcos'altro e soprattutto qualcun altro con cui condividere bei momenti di scoperta e nuove esperienze.
Berlino da questo punto di vista aiuta parecchio, c'è una moltitudine di persone disposte a sperimentare nuove esperienze anche brevi e limitate nel tempo e la città offre moltissime occasioni di fare nuovi incontri, assieme a molti locali “sex friendly” e ad una attitudine generalmente di libertà di costumi.
Tutto questo però ha anche un rovescio della medaglia, ovvero la sensazione che costruire davvero qualcosa come una relazione stabile sia opzionale e difficilmente realizzabile, vista l'enorme quantità di stimoli ai quali si può venir sottoposti e alla rapidità con cui si può scegliere di uscire con qualcun altro se qualcosa nella precedente “relazione” non è andato secondo i piani.
Quanto ci si può emancipare dalle sovrastrutture che ci portiamo dietro come “donne”? e come “italiane”?
Dipende cosa si intende per “emancipare”.
Personalmente ho sempre considerato me stessa un essere poco rivolto alle attività sociali su larga scala, essendo stata per molti anni principalmente una persona schiva e refrattaria al contatto col mondo esterno.
Per cui, se devo pensare ad una emancipazione, non posso farlo da altro punto di vista se non da quello personale visto che è probabilmente l'unica esperienza di cui posso parlare.
E magari mi definisco “emancipata” ma chissà se in realtà lo sono davvero.
Forse al termine emancipazione preferisco quello di evoluzione, se proprio devo soffermarmici a pensare.
Non posso negare comunque di essere stata intrappolata per anni, forse decenni in sovrastrutture e preconcetti che mi hanno letteralmente ingabbiata in un ruolo che non sentivo affatto mio.
Come donna so che quello che mi ha condizionata così a fondo sono state quelle sovrastrutture sviluppatesi principalmente all'interno della famiglia nella quale sono cresciuta e nel mondo di una piccola cittadina di provincia (sono nata e cresciuta ad Orvieto, in Umbria, bellissimo paese ricco di fascino e attrattiva ma anche ancora intriso, perlomeno fino a qualche tempo fa, di quella cultura contadina-patriarcale sulla quale, volente o nolente, è cresciuto il nostro paese), che riflettevano e probabilmente riflettono ancora una visione dell'universo femminile strettamente legato alla vicinanza e l'identificazione col nucleo familiare preesistente e al suo sostentamento.
Non è questo il luogo dove soffermarmi a raccontare le semi tragedie personali che si sono susseguite nel tempo all'interno della mia famiglia, ne cito soltanto una (che forse è una delle minori) per rendere l'idea di come fossi vista al suo interno: mio padre, quando avevo all'incirca 24-25 anni si oppose fermamente alla mia scelta di andare a lavorare di sera nell'unica birreria di Orvieto (visto che non c'era molta altra offerta di lavoro), perché secondo lui quella era una scelta priva di senso, non capiva che bisogno avessi di andare a lavorare in un posto del genere, come se nella sua visione delle cose l'alternativa che pensava di offrirmi nel farmi rimanere a casa a dipendere da lui fosse sicuramente migliore.
La lotta per la mia personale “emancipazione” ha visto poi negli anni anche il rinnegamento, l'allontanamento, la discriminazione, sempre sullo sfondo della mia ribellione nel dovermi sentire obbligata ad accettare quel ruolo di donna che la mia famiglia mi proponeva, consciamente o inconsciamente, di rivestire.
E nel processo di trasformazione tanti sono stati gli ostacoli esterni che ho incontrato ma altrettanti sono stati quelli interni, la paura di non essere all'altezza delle mie scelte, il timore di venire allontanata dalle persone che amavo al momento che le loro aspettative su di me si dimostravano deluse (e devo dire che di aspettative ne ho deluse davvero tante, e per fortuna aggiungerei), la consapevolezza di essere completamente sola nei momenti peggiori e la piena responsabilità di ogni mia scelta, il susseguirsi di dubbi e fallimenti e spesso il sopraggiungere della rassegnazione.
Di certo crescere in un piccolo paese della provincia italiana non mi è stato d'aiuto, questo è innegabile.
Tornando alla domanda “Quanto ci si può emancipare dalle sovrastrutture che ci portiamo dietro come “donne”? e come “italiane”?
Non lo so.
Dipende da persona a persona, dalla propria storia personale, dalle attitudini e dalla determinazione, fatto sta però che se i comuni denominatori presenti nel concetto di emancipazione sono “donna” e “italiana” credo che ci sia un po' più di lavoro da fare per scrollarsi di dosso quella visione che ci vuole destinate al sacrificio e alla rinuncia in favore di qualcosa “altro da noi”, senza dimenticare i conti da fare con il religioso senso di colpa col quale siamo (perlomeno la mia generazione e soprattutto quelle precedenti) state indotte a convivere fin da bambine.
Non so dire se sono veramente una donna emancipata, davvero, non vorrei che si confondesse l'idea della ritrovata gioia nel poter vivere una qualsivoglia “libertà di costumi” con un traguardo, quello che più sento che descriva il mio stato attuale è l'idea di aver dovuto lottare per poter cambiare qualcosa della mia vita e avere una visione più aperta anche a costo di aver perso tantissime cose durante il cammino.
La libertà delle donne non è solo la libertà sessuale, quella dovrebbe essere un punto di partenza.
L'unica consapevolezza che ho al momento nella mia vita è che ho camminato molto, e forse il mio viaggio non è ancora finito.